sabato 31 dicembre 2011

5IVE: 5ive

POST-METAL, STRUMENTALE, STONER
I 5ive di cui intendo parlarvi, non sono cinque ragazzi britannici alla ricerca di rapporti etero/omosessuali per l'intensa (e altra) ricerca di un vettore bensì più truculento (quanto grande, di diametro sia chiaro). No. In questo universo, i 5ive possono sdoppiarsi e fondersi in una band di Boston, Massachusset. Alla faccia di chi non crede al taoismo (me compreso). Nati nel 1998, i musicisti in questione decisero sin dalle prime armi di abbandonare ogni sorta di standar ideal-tipico della forma canzone, per infischiarsene dei decibel, e alzare la testa verso il firmamento occulto. Mossa azzeccatissima. Formazione a due componenti, quella in questione è una strategia poco in voga nel mondo a cui apparteniamo, ma che in tal caso sa appagare, violentare, sedurre, ammaliare, confondere, sobbalzare, e vi dirò, de-scorporare in più e milleppiù frammenti. Come due colonne rituali-mesoamerciane, le colonne di rat-muff distorsion erette a sistema totemico di riferimento, diventano centro dell'universo e orientano il pensiero all'ascesi.

E fidatevi, anche in questo caso, c'è da divertirsi. Tutto ciò accade perchè, miserrimo caso a parte (traccia 3, "The Baron"), la media in termini di tempo è sui sei minuti di lunghezza delle performances. E quando questo si materializza, beh, viva il caos. Opera d'esordio, l'album omonimo sa stupire ed impossessarsi dell'ascolto per le innumerevoli capacità con cui ogni accordo e timbro ritmico ben si sovrappongono l'uno sull'altro, come una trama architettonica arabesca di origine indefinita. Esattamente come una pianta rampicante, questo lavoro si aggroviglia alle membra per stringerle a sè, e stritolarle fino ad ottenerne il più acido dei succhi: la vostra anima. Quasi come un calendario profetico, ogni pezzo distingue le stagioni, i moti lunari, le maree e le correnti aeree dei venti, facendovi spuntare due ali grandi come autostrade allo scopo di percorrere il mondo cavalcandone le misteriche ed incomprensibili vertigini. "Burning Season", atto primo di questo processo, ricorda lontanamente le meglio parti di "Welcome To Skyvalley", pesantemente straziate con calore e solenne gaudio da tonalità di una gravità lineare quanto ossessivamente instabile difficilmente comparabili. E così via, sino all'infinito, con "Orange": destituzione della rotazione terrestre, invertita a vostro piacimento, per mostrarvi cosa significa vedere il sole quando dovrebbe imperare il buio, per scomporre la vostra malsana e routinaria quotidianità ed offenderla, in barba alla melanina, alla melatonina, e alle pubblicità fasulle di certi canalucoli del digitale (extra)terrestre situati in Lombardia. Altro giro, altra corsa, con "Jules Verne's Dream". Immaginate: con un pugno sferrato al terreno, potreste creare un canale di collegamento che perfora il mondo passandogli attraverso, de-nucleandolo, inghiottendone il nocciolo fuso e unendovi al tutto in un sol boccone, subendone perdippiù conseguenze radioattive. Cose dell'altro mondo? No, del nostro!

Come si può dedurre dall'esilarante titolo "Bycicle Ryder", che con l'umanità sino ad ora conosciuta, ha molto a che fare, se attraverso degli immaginari spettrometri potessimo leggere ciò di cui molto probabilmente siamo fatti per davvero: tempeste di energia orgonico-elettriche in costante contrasto, rapite da una corsa verso il nulla, che ci appartiene dal momento della nascita, per congiungersi terminalmente all'atto della nostra morte. Ed il vortice non cessa di fermarsi. I raggi della bicicletta Kyussiana su cui giriamo, sono infestati dal peggio drone-desert metal mai udito, il quale dotato però dell'impiego di batterie così tribalmente distribuite, ci condurrebbe certamente alla medesima follia che anima chi sta scrivendo questa recensione. Arbusti si scompongono, copulano fra loro, stelle appaiono e scompaiono nei cieli, lasciano spazio ad una palla infuocata che un tempo chiamavate sole, e che ora altri non è che una linea permanente nelle vostre retine inutili. Extra-corpo, sapete ragionare molto meglio di quello che possiate immaginarvi, e partite lungo le strade tracciate da rovine di pietre abbandonate, che un tempo erano città, e sulle quali ora dormono i lupi. Tracciate il vostro volo, ve ne dimenticate la ragione, ma persi in questa de-costruzione dell'immensità, non volete cedere.

E giù ancora, sino a rasentare il suolo, con distorsioni mammuthiane grandi come continenti a sorregervi, ad imprigionarvi, e a condurvi verso "Cerrado", ultimo antro di protezione di un mondo al collasso, di cui siete diventati cuore, polmoni e sistema nervoso. Il respiro del mondo è affannoso, vi sorprende sentirlo per la prima volta, vi sorprende concedervi ad esso come una calda adolescente priva di inibizioni. Vi sorprende, e ne restate Sorpresi. Tutt'intorno, vortici che si occludono, che si urtano e che percuotono la sabbia in disegni polverosi ed animaleschi. Non volete smettere, ci prendete gusto. Continuereste ancora e sconnessamente, alla facciaccia della Ragione, del realismo, del Welfare State, del trovarvi un lavoro, del conoscere una donna/uomo, mettere al mondo dei figli, pregare un dio, comperarvi una macchina, andare dallo psicoanalista, pagare lo psicoanalista (cosa che mi devo ricordare di fare domani..).

E giù, Flanger su Flanger, quasi le mangiereste le corde della chitarra che vi sta sbottando addosso la violenza del mondo intero, concentrata in un bicchiere, da bere d'un sorso, da fare scendere lungo le pareti del vostro stomaco, nei vostri reni, per congiungervi finalmente col Tutto. E rinascere, più volte: decine di migliaia, anzi, centinaia di migliaia di migliaia, senza smettere mai. Mai.

Ed io credo che non smettereste.

No. Non smettereste.

TRACKLIST

1.Burning Season
2.Orange
3.The Baron
4.Jules Verne's Dream
5.Bicycle Rider
6.Cerrado

INFO

Anno: 2001
Label: Tortuga Recordings
Paese: USA



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